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CONURO DELLA CAROLINA

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CONURO DELLA CAROLINA

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CONURO DELLA CAROLINA


Di W. T. Greene
(Traduzione di Marco Giaquinto)
da: Parrots in Captivity 1885
Psittacus Carolinensis, Russ.
ALTRI NOMI: Conurus Carolinensis, GR., LISS., etc.;
Psittacus luteocapillus, VG.; Psittacus ludovicianus, VG.;
Aratinga ludoviciana, stph.; Sittaceludovictana, WGL.;
Centurus Carolinensis, ADB.; Arara Carolinensis, SLB. Et JRD.
TEDESCO: Der Karolina-Sittich. FRANCESE: Perruche à têteaurore, BUFFON
Nessun pappagallo abita ad una latitudine così a nord come quello a cui si fa riferimento nel presente articolo, la cui collocazione nella famiglia degli Psittacidi è stata motivo di forti controversie tra gli autori, alcuni dei quali lo classificano fra le Ara, mentre altri fra i Conuri. Probabilmente nessun altro membro della famiglia, fatta eccezione forse del Cenerino e del Pappagallino ondulato, ha avuto così tanta attenzione da parte degli scrittori e può vantare una considerevole letteratura dedicata esclusivamente ad esso.
Fra gli ornitologi americani, Audubon e Wilson hanno riempito molte pagine delle loro opere con descrizioni di questo uccello ben noto e, nel complesso, comune. Prince Chi. Buonaparte, Wagler e Sir William Jardine non hanno certo trascurato di prestargli attenzione. Bechstein e Buffon, e come loro molti altri, nei loro scritti hanno fornito ampi resoconti su questo pappagallo, per non dimenticare poi il grande Linneo, che lo chiamò Psittacus ludovicianus.
Jardine dice: “In lunghezza misura circa quattordici pollici (35.5 centimetri); la lunghezza complessiva delle ali ventidue pollici (56 centimetri); mentre il Reverendo J. Wood sostiene che “la lunghezza totale di questa specie è di ventuno pollici (53 centimetri)” – una differenza considerevole. La verità, per quanto approssimativamente possibile, sta nel mezzo dei due estremi.
L’aspetto del Conuro della Carolina è straordinariamente gradevole: il verde smeraldo acceso della parte superiore del corpo è mitigato dal vivace rosso arancio della fronte e delle guance, mentre il resto della testa e del collo sono di un arancione meno intenso e sulle spalle compaiono delle macchie arancio rossastre mescolate ad altre giallo oro. La parte inferiore del corpo è di un verde-giallastro, la parte più esterna delle penne primarie è verde bluastra che diventa di un giallo acceso alla base. La parte più interna invece si presenta marrone con punti verdi; le penne della coda sono verdi che si colorano di rosso marroncino verso l’attaccatura. Le zampe e le dita sono color carnicino e gli occhi marrone chiaro.
Non è solo la questione della classificazione della specie a mettere in disaccordo gli autori, ma anche i pregi, o i difetti, della stessa. Audubon osserva: “Il bosco rappresenta il loro habitat ideale, nel quale la sgargiante livrea, l’elegante modo di volare e persino i richiami di questi parrocchetti sono segnali graditi che indicano che le nostre più oscure foreste e le nostre paludi più recondite non sono prive di fascino”.
“A motivo della sua incapacità di articolare parole e delle sue sgradevoli strilla acute, è di rado tenuto in gabbia”, scrive Selby nella Jardine’s Naturalist’s Library; mentre Wilson esprime il suo verdetto a favore della specie e, in base a risultati effettivamente ottenuti, si pronuncia nei suoi confronti definendola “docile e socievole, che diviene subito perfettamente confidente ed in grado di imitare gli accenti delle persone.”
Bechstein evidenzia che “le sue strilla sono frequenti; è un pappagallo piuttosto malizioso e non parla; ma compensa bene a questo con la sua bellezza, l’eleganza della forma, i movimenti aggraziati ed il suo forte attaccamento quasi esclusivo nei confronti della sua padrona.”
“Verso gli esemplari della sua propria specie”, dice Wilson, “dimostra l’attaccamento più forte e se il proprio compagno è in pericolo, volteggia in volo nei dintorni con amorevole compassione.”
“Quando sono occupati a nutrirsi,” continua lo stesso autore, “si lasciano facilmente avvicinare, e numerosi vengono uccisi con una sola scarica; il lavoro di distruzione, comunque, non si esaurisce in una sola volta, in quanto i sopravvissuti si alzano in volo, girano intorno per qualche minuto ed atterrano di nuovo nello stesso luogo dell’imminente pericolo. Le armi vengono tenute pronte; otto, dieci o anche venti soggetti vengono uccisi ad ogni scarica; gli uccelli rimasti in vita, come se fossero consapevoli della morte dei loro compagni, si precipitano sui loro corpi strillando più forte che mai, ma facendovi ritorno vengono ancora colpiti dalle armi, fino a che solo pochi rimangono in vita, per i quali l’agricoltore non ritiene ne valga la pena consumare ancora altre munizioni.”
Scrivendo circa mezzo secolo fa, Audubon osserva: “Potevano essere avvistati lungo le acque tributarie dell’Ohio come il grande Kessawa, il Sioto, le sorgenti di Miami, la foce del Mauimee nel punto in cui si incontra con il lago Erie, nei pressi del fiume Illinois, e a volte fino a nordest come il lago Ontario e lungo i distretti a est che segnano i confini tra Virginia e Maryland. Attualmente (circa venticinque anni dopo) sono pochi quelli che si trovano più in alto di Cincinnati, finché non si raggiunge la bocca delle acque dell’Ohio presso la quale si possono osservare i Parrocchetti in numero considerevole. Sarei portato a pensare che lungo il Mississippi non è presente neanche la metà del numero complessivo rispetto a quindici anni fa.”
Non vi è dubbio che al momento (1883-4) gli stormi sono ancora in ulteriore diminuzione e che ci si deve spostare molto più a sud per trovare questi splendidi uccelli che per gli agricoltori sono considerati distruttivi. Il forte attaccamento nei confronti dei loro compagni li conduce alla loro stessa distruzione, come ci insegna l’esperienza di Wilson. “Avendo sparato per abbatterne un certo numero” afferma, “alcuni vi rimasero solo feriti e l’intero gruppo rimase vicino ai suoi compagni fiaccati, posandosi su un albero basso a una ventina di metri da dove mi trovavo. Ad ogni successiva scarica, benché una pioggia di corpi cadesse al suolo, l’attaccamento dei sopravvissuti sembrava farsi più forte e, dopo pochi giri intorno al luogo, si posavano nuovamente vicino a me, abbassando lo sguardo sui compagni massacrati con una tale dimostrazione di solidarietà e compartecipazione da lasciarmi completamente disarmato.”
“Non posso fare a meno di rilevare”, continua lo stesso autore, “il rimarchevole contrasto tra l’ elegante modo di volare e la loro andatura goffa e lenta tra i rami. Il loro volo è molto simile a quello del piccione selvatico: si spostano con i corpi racchiusi e compatti, con grande rapidità, emettendo dei richiami forti e fastidiosi che ricordano quelli del Picchio testarossa. A volte volano in linea retta, ma di solito in modo tortuoso, compiendo una grande varietà di volteggi serpeggianti, semplicemente perché amano farlo.
Sono particolarmente legati ai grandi alberi di sicomoro, alle cavità dei tronchi e ai rami sui quali generalmente si posano; trenta o quaranta, e a volte anche più, possono entrare nella stessa cavità. Qui si stringono vicini ai lati dell’albero, tenendosi fermi con le unghie ed anche con il becco. Sembra amino molto riposarsi e durante il giorno si ritirano spesso nei loro nidi, probabilmente allo scopo di fare un abituale sonnellino. Sono estremamente socievoli e affezionati gli uni agli altri, spesso si lisciano a vicenda le penne del capo e del collo e quando giunge la notte si mettono a dormire sempre il più possibile vicini, preferendo mantenere una posizione perpendicolare grazie all’ausilio del becco e delle unghie.”
Pochi membri della famiglia dei pappagalli, sono forse così predisposti all’addomesticamento quanto i Parrocchetti della Carolina, a patto che, bisogna dirlo, vengano prelevati dai nidi quando sono piccoli o, almeno, catturati quando sono abbastanza giovani: i soggetti adulti, comunque, riproducono senza problemi in grandi voliere o altri tipi di alloggi provvisti di siti adatti alla nidificazione. “Una coppia”, riferisce Russ, “ha riprodotto in una piccola gabbia, allevando prima tre e poi cinque piccoli.”
Visto che sono uccelli altamente sociali, sarebbe meglio avere diverse coppie insieme. La difficoltà maggiore è quella di distinguere i sessi; le femmine, comunque, presentano la parte interna delle remiganti primarie di colore nero, e minore presenza di rosso arancio su testa e faccia, al contrario dei maschi in cui tale colorazione è molto più evidente.
I giovani sono completamente verdi finché non fanno la prima muta, quando la testa e la faccia assumono la colorazione gialla. L’aspetto tipico degli esemplari non ancora maturi, fece supporre che si trattasse di una specie differente, della quale diversi scrittori hanno fatto menzione. Latham ipotizzò che fosse identica al conuro gola bruna (Psittacus pertinax, Auctorum), ma quest’ultima è una specie di dimensioni minori diffusa nell’America Meridionale e Centrale.
Non appena vengono importati i Conuri della Carolina si dimostrano generalmente molto selvatici, ma con un po’ di accortezza si riesce presto ad addomesticarli ed i loro strilli diventano molto meno frequenti. Come tutti gli Psittacidi, infatti, quando sono allarmati danno libero sfogo alle loro emozioni e, siccome sono timorosi per natura, davanti a nuove situazioni si fanno più irrequieti e le grida che emettono non sono altro che una conseguenza della loro paura.
Questi pappagalli sono genitori eccellenti, come si potrebbe desumere dall’intenso affetto che dimostrano gli uni gli altri, allevando e nutrendo i loro piccoli con la massima cura e attenzione.
Vanno alimentati con semi per canarini, miglio, avena, mais e briciole di pane e, se sono in riproduzione, una porzione della miscela di semi dovrebbe essere preparata ammollandola in acqua fredda per qualche ora.
Parrots in Captivity 1885
Allegati
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