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IL CANTO DEL DIAMANTE MANDARINO

Diamanti di Gould, Becco d'Argento, Amadina, Bengalino, ecc...

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IL CANTO DEL DIAMANTE MANDARINO

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IL CANTO DEL DIAMANTE MANDARINO
di Alessandro Ascheri
Introduzione.
Spesso ci è capitato di ascoltare il canto degli uccelli, sebbene, negli ultimi tempi, questo sia diventato sempre più raro nelle nostre città, lasciando il campo ai ben più assordanti rumori del traffico cittadino. Tuttavia, allontanandoci dalle città stesse, o addentrandoci in un parco, possiamo ancora ascoltare quello che anche gli antichi e i poeti di ogni tempo hanno considerato un sinonimo di pace e natura (“…Il poeta si leva, e comincia a vagare per la campagna. Ascolta il canto degli uccelli; saluta il suo podere, i campi, osserva il lavoro dei contadini…” [Giovanni Pascoli, Il tempio di Vacuna, 1910]). Molti di noi, soprattutto chi, come me, coltiva la passione per gli animali e, quindi, per gli uccelli, hanno potuto ascoltare il loro canto semplicemente stando in casa; altri, una gran parte, allevano uccelli proprio per ascoltarne il canto.
Nonostante il Diamante mandarino non sia considerato un uccello “canoro” in termini classici, il suo ritmato e breve canto ha, tuttavia, qualcosa di melodioso, di rasserenante, nella pur quasi monotona ripetitività. Quelle brevi note, veloci e ripetute, cantate con voce tenue solamente dai maschi alle delle femmine, nel loro incessante sforzo per ammaliarle, rappresentano un riuscito tentativo di comunicare senza assordare, di attirare l’attenzione senza diventare fenomeni da circo, al contrario di tanti umani che, nel medesimo tentativo ma in modo diametralmente opposto, riempiono le nostre orecchie di gracchianti e inutili discorsi auto-celebranti.
La ricerca.
E così, dopo aver intrapreso la strada dell’allevamento amatoriale di questo simpatico e adattabile uccellino ed averne ascoltato i canti nelle calde giornate estive come nei freddi mattini invernali, mi sono messo a cercare nella più grande fonte di documenti del mondo moderno, Internet, se qualcuno avesse avuto modo di studiare le origini e le caratteristiche di questo “suono”. Con mio stupore, ho scoperto che decine, se non centinaia, di studiosi hanno analizzato, nei minimi particolari, proprio il canto del Diamantino, come lo chiamano in molti sottolineandone la figura minuta e graziosa. Purtroppo, devo dire anche di aver scoperto che molti di quegli studiosi hanno dovuto agire con le “maniere forti” per ottenere i risultati delle loro analisi, sottoponendo molti esemplari ad interventi chirurgici volti a renderli sordi o incapaci di controllare la siringe, l’organo vocale degli uccelli. Come sempre, in questi casi, mi sono chiesto se non ci fosse stata la possibilità di ottenere gli stessi risultati senza torturare o menomare queste povere bestioline e ho sperato che almeno lo avessero fatto limitando al minimo le loro sofferenze. Ho i miei dubbi, anzi, ho la certezza che non sia stato sempre così…
Tutti gli studi che ho avuto modo di leggere, per quanto fossero una piccola parte rispetto alle molte migliaia di pagine scritte sull’argomento, fondamentalmente si possono raggruppare in due “filoni d’indagine”, che sono poi quelli che ho cercato di seguire e per i quali mi trovo qui a scrivere un breve riassunto ad uso e consumo di altri semplici appassionati come me.
Uno di questi percorsi di ricerca mira ad individuare le origini del canto del Diamantino, la sua evoluzione e le cause che lo hanno portato alla sua attuale forma; l’altro percorso lo definirei meno etologico e più “invasivo”, con le sue alterazioni e manomissioni delle strutture anatomiche che determinano il canto, ma, tuttavia, interessante, seppur drammatico, per capire cosa avviene nel cervello e nella “gola” di un diamante mandarino quando canta alla sua futura compagna.
Le origini del canto.
Le varie teorie che riguardano l’origine del canto degli uccelli tendono a convergere sul presupposto che esso sia la naturale e complessa evoluzione di un suono semplice e, allo stesso tempo, riconoscibile, usato come richiamo per l’altro sesso. A tal fine si capisce perché siano stati essenzialmente i maschi a svilupparlo nella forma più complessa, dato il loro ruolo di “cacciatori di cuori”, ruolo pressoché trasversale a tutte le specie animali. Quello che all’inizio doveva essere né più né meno che un semplice suono continuo e chiaro (un fischio più che un canto), usato principalmente come richiamo, si è trasformato in una sequenza di “sillabe” ed intere “frasi”, che in alcune specie ha raggiunto livelli da far invidia ai migliori musicisti di ogni tempo. In questa evoluzione hanno avuto un ruolo fondamentale le femmine, pur non avendo sviluppato parallelamente la complessità del canto dei loro maschi. Infatti, secondo autorevoli studi di diversi scienziati, le femmine sono attratte maggiormente da canti complessi e ricchi di note anziché da semplici suoni. Un canto di questo tipo rappresenta per le femmine quello che in termini visuali si può paragonare ad un piumaggio vistoso, ricco di sfumature e colori. Non si tratta di semplice gusto per il bel canto, la complessità e la varietà delle note che lo compongono stimolano i neuroni cerebrali femminili più a lungo ed evitano fenomeni di abitudine tipici di canti monotoni.
Principalmente, ciò che fornisce un elemento di maggiore attrazione è la presenza di frequenze ad alto contrasto e prolungate nel tempo nella composizione del canto. Vale a dire, il maschio che ha più fantasia canora e più fiato da spendere risulta più attraente per la femmina. Questa maggior attenzione rivolta dalle femmine ai maschi che cantano in maniera più articolata, ha determinato, nel corso dei millenni, una selezione naturale a favore dei migliori “gorgheggiatori”. Nella famiglia degli Estrildidi, a cui appartiene il Diamante mandarino, questo fenomeno è maggiormente evidente, poiché essi usano il canto quasi esclusivamente a scopo sessuale.
Dagli studi emerge che circa 2/3 delle note (in tutto se ne contano circa 130) che compongono il canto del maschio sono assimilabili a tre note di richiamo, che vengono emesse singolarmente da entrambi i sessi. La figura a destra rappresenta il suonogramma di un canto maschile (a sinistra) e dei tre tipi di richiami (a destra): con cc e cce sono indicati il richiamo a distanza ravvicinata (un breve suono sommesso); con mc e mce un richiamo a media distanza (usato, ad esempio, per invitare a volare insieme) e con dc e dce un richiamo da grandi distanze (un urlo, insomma). I maschi uniscono queste 3 tipologie di note ad altre non ben definite per formare canti di diversa complessità . La durata media del canto è di circa 0,85 secondi per i diamantini selvatici e di 0,66 secondi per quelli domestici. Questa differenza di durata fornisce un’ulteriore prova della necessità, per i selvatici, di rendersi più “bravi” per affrontare la selezione naturale, cioè, per attirare le femmine con maggior successo.
Continuando a parlare di durata e complessità del canto, si rileva che i maschi con maggior successo di attrazione nei confronti delle femmine, arrivano a cantare fino a 1,8-2 secondi ininterrottamente, con ampie variazioni delle note. La complessità del canto sembra avere meno importanza della durata, per le femmine; tuttavia, essa risulta un elemento di maggior attenzione ed evita il già citato fenomeno di abitudine che si verifica a lungo andare, portando le femmine a prestare sempre meno attenzione ai maschi monotoni. Parlando ancora della durata e dell’eterogeneità del canto, i ricercatori hanno verificato che quando le femmine vengono attratte da canti maggiormente lunghi e complessi, prestano ai maschi che li emettono fino a circa 450 secondi (oltre 7 minuti) di attenzioni, il doppio di quanto riservano a quelli che emettono canti brevi.
Concludendo, riguardo alle origini del canto negli uccelli, si può ragionevolmente affermare che esso è la naturale evoluzione dei semplici richiami mono- e bi-tonali che sono l’unica forma di espressione per le specie di uccelli meno evolute, a differenza degli Estrildidi, abili cantori, che rappresentano una delle forme più evolute.
Le strutture anatomiche.
Prima di passare a parlare degli aspetti anatomici del canto, vorrei fare ancora una precisazione: lo scopo di questo articolo non è quello di fornire dati scientifici avanzati o di rappresentare una fonte d’informazione scientifica altrettanto avanzata; anzi, il mio obiettivo, da profano, è quello di sintetizzare, brevemente, in termini meno specialistici, le moltissime informazioni che ho trovato sull’argomento. D’altronde, anche il solo elenco delle centinaia di documenti che si trovano sull’argomento, occuperebbe diverse pagine.
Quello che emerge, sostanzialmente, dalla lettura della documentazione relativa all’argomento, è il ruolo importantissimo che ha il testosterone (un ormone tipicamente maschile) nelle funzioni di apprendimento e conservazione del canto. Per affrontare meglio l’argomento, bisogna descrivere quali sono le parti anatomiche coinvolte nel canto e la loro funzione nei processi di apprendimento e produzione del canto stesso.
La seguente figura (la nuca è a sinistra) rappresenta schematicamente le suddette parti anatomiche:


HVC = iperstriato ventrale (parte del neostriato);
DLM = divisione dorso-laterale del talamo mediano;
LMAN = nucleo laterale magno-cellulare;
RA = nucleo robusto dell’archistriato;
X = area X del lobo para-olfattivo;
HN = nucleo ipo-glossale.
Le frecce rosse indicano un “percorso” neuronale che collega le strutture coinvolte nella produzione del canto a loro volta collegate alla siringe dal nervo tracheo-siringeo. Una lesione in un punto qualsiasi di questo percorso causa l’incapacità, parziale o totale, di produrre i suoni. Le frecce azzurre, invece, collegano le strutture cerebrali alle quali è demandato il compito di sviluppare ed apprendere il canto. Lesioni a queste strutture non impediscono all'uccello di produrre un canto, ma questo sarà anomalo, limitato e sostanzialmente incompleto. Gli esperimenti condotti, apportando lesioni mirate, hanno evidenziato che causando sordità all'uccello si notano effetti maggiori sul canto che non danneggiando il nervo tracheo-siringeo. I danni si concretizzano nella semplificazione del canto, cioè, con la limitazione delle sillabe e la minor varietà dell'intera "strofa". Un altro esperimento, effettuato apportando lesioni all'HVC (il vero centro di produzione del canto), ha rilevato che danni a carico di quella struttura comportano mediamente la perdita di 2-3 sillabe in animali di 16 mesi di vita dopo solo 2 mesi dalla lesione e la modifica di altre 3-4 sillabe nello stesso periodo; in qualche modo, inoltre, il canto di richiamo del maschio, dopo le lesioni, tende ad assomigliare a quello della femmina (che non è appreso, ma istintivo). Gli esperimenti appena descritti confermano l'importanza che hanno, nella formazione e nel perfezionamento del canto, le fasi di ascolto nei confronti del padre o, comunque, del maschio principale della colonia, oltre che del proprio canto.
Il testosterone.
Scrivevo, qualche riga più su, del ruolo del testosterone nella produzione del canto, questo ormone influenza la capacità dei maschi di apprendere e sviluppare il canto nei primi giorni di vita. Più esattamente, la fase di apprendimento inizia verso i 20-25 giorni di vita, per concludersi, significativamente, verso i 90 giorni. E' proprio durante questo periodo che il livello di testosterone continua ad aumentare e sembra inibire quel processo che coinvolge le strutture cerebrali demandate all'apprendimento del canto (il "percorso" azzurro della precedente figura). Somministrazioni forzate di testosterone accorciano questa fase di apprendimento e determinano la formazione di canti più semplici, più monotoni, con minor numero di sillabe e minor variazioni. Al contrario, somministrando inibitori del testosterone il periodo di apprendimento viene prolungato ed il canto guadagna in complessità. Quindi, sembra che la natura abbia concesso al Diamantino di imparare a cantare finché non diventi adulto e pronto a riprodursi, sottolineando il ruolo di elemento sessuale del canto stesso.
Conclusioni.
Alla fine di questa breve panoramica dedicata al canto degli uccelli e, più specificatamente, del Diamante mandarino, vorrei tornare all'aspetto più amatoriale dello studio del canto stesso. Anzi, più che di uno studio, si tratta della semplice e pura attenzione che ci troviamo a dedicare a questo nostro amato uccellino, quando lo sentiamo cantare melodicamente alle femmine o quando, molto meno melodicamente, sentiamo i piccoli provare e riprovare a riprodurre il canto del padre. C'è qualcosa in quei versi che mi attira, non saranno certo dei fini cantori, al pari di alcuni Canarini, del proverbiale Usignolo o di qualche altro professionista alato, ma il loro canto, così sommesso e breve ma così allegro, mi ricorda il loro stesso essere così delicati, indifesi e, ahimé, prigionieri, ma, allo stesso tempo, pieni di vita e protesi a far sì che quella vita sia portatrice di altra vita.
Rispettiamoli, loro non fanno rumore, cantano.
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